La sequenza numerica di Dio.
Regia: Darren Aronofsky
Nazione: USA
Versione: DVD
IN BREVE:
- "Ma non vedi che te la vuole dare? Sei uno sfigato di merda!"
- "La sorella di Tyson è un'agente di Borsa. Oh, cazzo..."
- "Il computer lo ha assemblato quel tuo amico strano. Come si chiamava? Cronenberg? Ma non è una birra?"
INTRODUZIONE:
Darren Aronofsky (New York, 1969) è un regista che riesce sempre a stupirmi, nel bene o nel male. “Requiem for a Dream” mi ha sorpreso per l'azzardo visivo, eccentrico ed allucinogeno, mentre “The Wrestler” mi ha commosso ed emozionato in maniera del tutto inaspettata, nascondendo sotto la ruvida scorza una delicatezza struggente e malinconica, che innalza il film verso vette di poetico lirismo dove fallimento, sudore, vuoto coraggio e devastante consapevolezza trovano totale espressione e compiutezza. “Il cigno nero” ci mostra la piena maturità tecnica ed artistica del regista newyorchese, nonostante il sottoscritto non abbia rintracciato in questa pellicola quel guizzo geniale che tanto mi faceva bagnare le mutande durante la visione delle opere precedenti. Andiamo dunque ad analizzare il debutto cinematografico del non più giovane Darren Aronofsky.
P.S. Ho tralasciato “L'albero della vita” perché, dietro un'estetica magnifica e magniloquente si nasconde un cumulo bello pesante di merda fumante...
Terapia d'urto. |
APPROFONDIAMO:
Maximillian Cohen è un matematico geniale e leggermente fuori di testa che soffre di devastanti emicranie. Max ritiene che alla base della natura non ci sia altro che ragione e matematica, che dietro ogni evento si celi un preciso disegno che può essere interpretato, compreso e previsto ricorrendo a formule e numeri. La sua attenzione è rivolta alla risoluzione dello schema che governa le quotazioni in borsa e durante una sessione di ricerca, il computer si fonde ma stampa una misteriosa sequenza di 216 cifre. In una conversazione con l'amico e maestro Sol Robeson, quest'ultimo gli confessa d'essere giunto, in passato, al medesimo risultato studiando il pi greco, ma d'aver rinunciato a continuare la ricerca perché troppo deleteria per la sanità mentale e fisica. L'incontro con un ebreo studioso della Torah (che spiega a Cohen la matematica insita nell'ebraico) non fa altro che alimentare l'ossessione di Max, vera protagonista di tutto il film. Girato e montato in maniera frenetica ed alienante, in un bianco e nero sporco e molto contrastato, “π – La teoria del delirio” è un'affascinante ed ansiogena riflessione sulla ricerca della conoscenza suprema, della follia che attende tutti quelli che cercano di comprendere e formulare le logiche proprie del “divino”, rimanendone sopraffatti, impreparati proprio perché finiti, mortali, imperfetti. Ma Aronofsky pecca d'ingenuità (è pur sempre l'opera prima del regista...) e caga fuori dalla tazza, inserendo in malo modo complotti religiosi e corporazioni malefiche lì dove non ce n'era bisogno, distruggendo con un paio di tristissime sequenze, tutta l'impalcatura filosofica del film. Sul finale la pellicola si riprende un po', ma l'incanto è spezzato in maniera definitiva, lasciando allo spettatore una sgradevole sensazione d'incompiutezza e di mancanza di sostanza, emozioni che affossano le ottime premesse di un'opera da non considerarsi brutta, ma solo non completamente riuscita.
Matematica ed Ebraismo vicini, vicini. |
GRAN FINALE:
- Frenetico e visivamente originale.
- Colonna sonora elettronica di pregio.
- Il sostrato filosofico va in vacca grazie a scelte di trama veramente banali.
HIGHLIGHTS:
- Gli attacchi d'emicrania con relative "visioni".
- Il tavolo da gioco del goban come metafora dell'universo.
- Il finale.
FATTORE NICOTINA:
Bel film, ci darò un occhiata
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